
Il ciabattino che sogna di diventare calzolaio: «Uso arnesi dell'800 per proteggere un sapere»
Pavimento in graniglia, due vetrine direttamente sulla strada, macchine, banchetto e arnesi a partire dalla fine dell’ottocento. E’ così che si presenta il laboratorio/bottega di Marco Ceccagnoli, giovane perugino che - attratto dalla manualità e dalla voglia di non far perdere quella memoria che Angelo Casciari, suo maestro, stava lasciando in via Fabretti, chiudendo definitivamente le saracinesche, data l’età e la voglia di riposare - decide di diventare ciabattino, sognando di fare il calzolaio.
Da san Crispiano a san Crispino «Perché il calzolaio le scarpe la fa partendo da zero. Proprio come san Crispino e san Crispiano rispettivamente protettori dei calzolai e dei ciabattini, il secondo rammendava le calzature per i meno abbienti, il primo invece le costruiva dal nulla», e come racconta l’iconografia esposta in tutta evidenza in bottega, bastano pochi arnesi e tanta volontà a nobilitare quei saperi e quella manualità che hanno reso grande l’Italia, ma che, scomparendo, cedono il passo al largo consumo. Nella fattispecie, a quelle scarpe, quasi monouso che compri con pochi soldi e indossi poche volte, prodotte con chissà quale tipo di sfruttamento al quale Marco, chino sulla sua ‘Singer’ di inizi novecento, con la radio che suona musica classica, quasi in sincrono col pedale e l’ago battente della macchina da cucire sembra voler resistere.
Il maestro e l'allievo «Ma io sono niente, ho semplicemente iniziato da pochi anni, è Angelo invece che va raccontato, è lui il maestro, è lui che ha dedicato oltre 60 anni al mestiere, lo conoscono tutti, è un artigiano puro, è il suo sapere che va custodito». Marco è riconoscente ad Angelo che a sua volta ereditava il mestiere da un altro calzolaio, ed è per questo che quegli arnesi passano alla terza generazione, senza il bisogno di essere minimamente ostentati. Non c’è in bottega, infatti, la carta da parati con le fasce verticali colorate o le lesene in gesso, neanche la vecchia poltrona retrò in pelle andata a cercare dal fornitissimo rigattiere di periferia, o la grafica vintage sull’insegna illuminata a neon, neanche la pagina Facebook. E’ tutto come era prima che quella saracinesca si chiudesse.
Tornano i giovani Tutto come quando probabilmente in quella strada non c’era ancora il viavai di studenti, insegnanti, stranieri e turisti che scorrono veloci e spesso quasi appiccicati alle pareti fanno passare gli autobus di linea che trasportano gli studenti all’università, a pochi passi dal laboratorio. Tutto fermo, tranne le macchine e gli arnesi che continuano a cucire, levigare e sagomare le scarpe non solo degli adulti e degli anziani del quartiere, vecchi clienti di Angelo, ma anche di giovani che vanno da Marco perché stanchi del prodotto omologato chiedono una personalizzazione, attraverso una colorazione o una cucitura particolare.
Cliente: Buongiorno, è permesso?
Marco: Buongiorno signora, dica.
Cliente: Senta ho un paio di scarpe in similpelle bianche che non mi piacciono più si possono colorare nere?
Marco: Dipende cosa intende per similpelle signora.
Cliente: Beh non saprei, la chiamano similpelle ma potrebbe anche essere plasticaccia.
Marco: Le porti quando può che diamo un’occhiata…. qualcosa faremo.
Cliente: Grazie, e quanto verrebbe?
Marco: Credo una decina d’euro signora.
Cliente: Ah! …e allora festeggio!
Un mondo lento C’è un mondo che corre veloce e uno che scorre lento in via Fabretti, in quest'ultimo c’è una vetrina con una lampadina accesa e un giovane ciabattino chino su una vecchia ‘Singer’ a rammendare e cucire stivali e scarpe, sognando di poter diventare calzolaio e realizzare le sue scarpe, completamente ecologiche, magari con la suola ricavata direttamente da materiali di scarto, come i copertoni delle macchine e la tomaia non in pelle animale ma in canapa o cotone. «Scarpe - dice - che vogliono più bene all’ambiente».










